IL CILENTO CHE NON VOGLIO

Di Mario Notaroberto

Da sempre visto come terra di confine, di una bellezza senza confronti, il Cilento è un luogo dove molti vorrebbero vivere; aspirazione questa troppo spesso disattesa, senza che il motivo sia esplicitato. Io, che ho lasciato questa meravigliosa terra circa quarant’anni addietro, ma dove sono ora sempre più presente, proverò a dire la mia in merito.

Agli inizi degli anni 70 muovevo i primi passi in politica e ricordo come i nostri genitori fossero in sostanza obbligati a votare per quel gruppo di politicanti espressione della Democrazia Cristiana, soggetti che di democratico avevano ben poco. Oggi, a tanti anni di distanza, alcuni di questi li ritrovo ricollocati nel Partito Democratico: hanno cambiato il nome della formazione di appartenenza, ma non il modo di intendere la politica.

https://commons.wikimedia.org/wiki/User:Matthias_Holl%C3%A4nderRicordo le nostre notti passate a scrivere manifesti e a fare attacchinaggio notturno: eravamo giovani bisognosi di far intendere la nostra voce, motivati dal clima di cambiamento che pervadeva la nostra società in quegli anni e ci riconoscevamo nella politica dell’allora segretario del PCI Enrico Berlinguer.

Si è trattato di una stagione durata una diecina d’anni, esaurita la quale tutto ritornò nel letargo e i giovani che non trovavano lavoro si videro nuovamente senza reali alternative al recarsi sui colli della politica per chiedere di essere presentati, ascoltati e aiutati ad inserirsi nel tessuto sociale . Fu cosi che sorsero i carrozzoni politici , dove si veniva inseriti solo previa pubblica rinuncia alle battaglie politiche.

Oggi ritorno dopo quarant’anni passati lontano e ritrovo una situazione uguale o peggiore di come l’avevo lasciata. Sentirsi ancora dire frasi del tipo: “Ma perché non sei venuto da me se volevi fare quella cosa?” è veramente demoralizzante e la prima reazione sarebbe di abbandonare nuovamente questa terra. Certo, per me sarebbe facile ritornare nel paese che mi ha ospitato per tanti anni dandomi la possibilità di costruire e realizzarmi, ma è proprio ciò che non voglio fare. Io intendo restare e lavorare nel Cilento, affinché certi usi e certe pratiche di operare cambino definitivamente.

Voglio un Cilento vivo e prospero, vetrina di un Sud troppo spesso abbandonato a se stesso.

Voglio un Cilento che sia conosciuto in tutto il mondo non solo per le sue bellezze naturali o per il suo mare, ma anche per la gente libera, accogliente, che sa organizzarsi.

Voglio un Cilento libero da briglie politiche, dove ogni singolo cittadino sia valorizzato per il suo fare, per la sua voglia di emergere.

Voglio un Cilento all’avanguardia nel mondo dell’agricoltura e nel turismo.

Voglio un Cilento che sia conosciuto per le sue eccellenze, anche se con quantitativi minimi.

Voglio un Cilento che non lascia partire i giovani in cerca di fortuna all’estero, un territorio che valorizza al massimo il suo prodotto e chi lo genera.

Eccomi allora a sottolineare il punto chiave di questa mia riflessione: il Cilento può fiorire solo se i giovani troveranno le condizioni per esprimere nel concreto le proprie capacità.

Sono in molti, infatti, a cercare di resistere, a non volere andare a ingrossare la nuova emigrazione, ma le difficoltà non mancano: finanziarie, logistiche, tecniche, amministrative.

L’unica strada che vedo è che la politica sappia abbandonare la propria autoreferenzialità per porsi al servizio dell’imprenditoria giovanile, sostenendola, indirizzandola, sia attraverso organizzazioni di categoria sia col supporto di tecnici forniti dalle autorità competenti.

Voglio lanciare un forte appello al Presidente De Luca: Ora che ricopri questa nuova vitale funzione e hai la possibilità di far risalire la china al Cilento, non dimenticarci! Chiama intorno a te le centinaia di giovani che si aspettano delle risposte dalle autorità competenti e dagli una speranza.

Il resto lo faranno loro.

Il Cilento che voglio deve essere libero da lacci che bloccano le menti e le braccia dei tanti giovani in cerca di futuro.